giovedì 4 agosto 2011

Iran: la tortura dietro le mura di Evin



On agosto - 3 - 2011


In Iran le persone arrestate sono state spesso trattenute per periodi prolungati durante i quali è stato impedito loro ogni contatto con gli avvocati o la famiglia, sono state torturate ed è stato loro negato l’accesso alle cure mediche. Alcune sono state condannate a pene detentive al termine di processi iniqui. Altre, condannate in anni precedenti a seguito di processi iniqui, sono rimaste in carcere.

Il regime iraniano cerca di nascondere tutto ciò e respinge ogni tipo di accusa.

Numerose associazioni per i diritti umani hanno più volte denunciato le gravi condizioni dei prigionieri nelle carcere iraniane. Said Pourheydar, giornalista e attivista di RAHANA, organizzazione che si occupa di diritti umani in Iran, ha raccontato la propria esperienza personale e quella di altri prigionieri politici di Evin, più in particolare del blocco 2A e dei blocchi 209 e 240. Riportiamo di seguito le sue parole.

La tortura dietro le mura di Evin di Said Pourheydar (traduzione di Daniela Zini)

Ritornare su quanto è accaduto è, al tempo stesso, doloroso e amaro, ma io credo, fermamente, che potremo liberarci da questo sguardo all’indietro soltanto quando avremo vinto; sarà, allora, tempo di guardare in faccia quello che accadrà. Ho scelto di liberare il mio spirito da questi amari ricordi e di parlarne, nella speranza che il mondo possa rendersi conto delle torture che la nobile gioventù iraniana, amante della libertà, accusata di pensiero e di filosofia “verde”, ha dovuto subire tra le morse della tirannia.

La tortura fisica

Ho diviso una cella di tre persone del blocco 350 di Evin con un prigioniero, le cui torture fisiche e psicologiche avrebbero distrutto ogni persona di spirito libero. Aveva 25 anni ed era stato arrestato con accuse ingiustificate e infondate da agenti dei guardiani della rivoluzione all’aeroporto Imam Khomeini. Era stato trasferito al blocco 2 A di Evin e aveva sopportato torture fisiche e psicologiche inimmaginabili durante i 6 mesi del suo isolamento.

Quelli che lo avevano interrogato gli avevano urinato in faccia. Era stato selvaggiamente picchiato ed era stato frustato sotto la pianta dei piedi. Aveva subito, a più riprese, l’elettroshock durante gli interrogatori; era stato talmente picchiato nei testicoli da perdere coscienza. Quelli che lo avevano interrogato avevano utilizzato pinze in diverse parti del suo corpo; tre di loro erano arrivati a trattarlo come un pallone, dandogli calci così violenti che i miei medici legali avevano, perfino, definito una forma di tortura, confermando le ferite al cranio e una frattura al naso.

Una delle peggiori forme di tortura sopportata da questo carissimo amico era stata lo stupro da parte degli agenti dei guardiani della rivoluzione che lo avevano interrogato; avevano versato dell’adesivo plastico nell’ano, poi, lo avevano strappato una volta consolidato.

Nonostante sia, ancora, dietro le sbarre, nonostante le torture brutali e inumane, rifiuta, sempre, di fare false confessioni.

Durante un colloquio di tre ore su una panchina del blocco 350, un altro dei nostri innocenti compagni verdi detenuti mi ha raccontato le torture subite, quando era nel blocco 2A. Gli avevano gettato un secchio di acqua gelida ed era stato tenuto in isolamento per dieci giorni in una cella di 1,25 m. di altezza. Per ore, lo avevano costretto a restare in piedi, nudo, fuori, in pieno inverno. A più riprese, gli avevano spinto la testa nella latrina dei bagni mentre tiravano lo sciacquone. Lo avevano selvaggiamente picchiato, lo avevano, completamente, denudato e lo avevano malmenato durante gli interrogatori. Sono solo alcuni esempi di tortura che ha dovuto sopportare nei due mesi di isolamento nel blocco 2A. È stato trasferito, qualche mese fa, nel blocco 350 di Evin, dove attende il processo.

Un’altra forma di tortura: obbligare i prigionieri a sedersi sul pavimento, nudi, mentre vengono colpiti alla schiena con randelli e cavi. Molti prigionieri sono obbligati a restare in piedi per ore. Due prigionieri hanno perso conoscenza dopo un tale trattamento. Si obbligano i prigionieri a prendere sostanze psicotrope. Hanno obbligato anche me. Li appendono per le spalle o per le gambe. Durante gli interrogatori, si blocca loro la testa al braccio di una poltrona e si prendono a calci le parti sensibili del corpo come i testicoli. Si obbligano i prigionieri a coricarsi sul ventre mentre due o tre persone camminano sulla loro schiena. Vi sono molte rotture di timpano a causa dei violenti colpi portati alla testa, al volto e agli orecchi. Si bendano, sovente, gli occhi dei prigionieri per impedire loro di reagire quando sono colpiti al volto. Non sono che alcuni esempi dell’infinità di metodi di tortura descritti da molti prigionieri politici, durante la loro detenzione nei blocchi 209, 240 e 2 A di Evin. Molti di questi prigionieri sono, attualmente, nel blocco 350 di Evin, o scontano la loro pena o attendono il loro verdetto, non sapendo cosa aspettarsi.

La tortura psicologica

Il dolore causato dalla tortura fisica può attenuarsi con il tempo, ma gli effetti della tortura psicologica persisteranno anni. Prima del mio arresto, il 5 febbraio 2010, a causa dei miei problemi cardiaci, prendevo, quotidianamente, una compressa di Pronol, un beta-bloccante da 10 mg. Oggi, il solo beneficio, ottenuto dai miei giorni passati in isolamento e dalle brutali torture psicologiche e fisiche subite, consiste nel prendere due o tre compresse di Pronol da 40 mg. al giorno, oltre a una infinità di sedativi che sono stato costretto ad assumere nei mesi che hanno seguito la mia liberazione dal carcere. L’impatto negativo sul mio psichismo ha, senza alcun dubbio, creato numerosi problemi nella mia vita quotidiana.

Quasi tutti i prigionieri politici hanno fatto l’esperienza di una forma di tortura psicologica o di un’altra. Anche supponendo, cosa impossibile, che un prigioniero non sia stato sottoposto a pressioni psicologiche, il tempo passato in isolamento è di per sé una delle peggiori forme di tortura psicologica.

Inutile dire che chiunque non abbia fatto l’esperienza dell’isolamento in prigione, fosse pure per una sola ora, non potrà mai capire appieno cosa significhi.

Le simulazioni di esecuzione, una forma orribile di tortura psicologica sono molto diffuse nel blocco 2A. Tre prigionieri con i quali ho parlato nel blocco 350 mi hanno detto di averle subite e uno dei detenuti del blocco 350 mi ha descritto come avesse subito due simulazioni di esecuzione.

Fanno visita al prigioniero prima dell’alba, mentre si trova in isolamento e gli dicono che, purtroppo, sarà giustiziato. Gli bendano, allora, gli occhi, lo legano e lo conducono nel cortile del blocco 2A. Mettono, poi, il prigioniero su uno sgabello, gli mettono un nodo scorsoio intorno al collo e gli chiedono quali siano le sue ultime volontà prima di essere impiccato.

Un amico mi ha detto di essere rimasto in piedi, gli occhi bendati, il nodo scorsoio intorno al collo, alla prima simulazione per 30 minuti, mentre chi lo aveva interrogato gli spiegava che attendevano l’arrivo del responsabile della prigione, di un osservatore giudiziario e del medico legale prima dell’esecuzione del verdetto. Dopo una mezz’ora, lo avevano informato che, poiché il direttore della prigione era impossibilitato a venire e l’esecuzione doveva aver luogo prima dell’alba, l’impiccagione era rinviata di qualche giorno.

Di certo, nessuno può comprendere appieno lo stato psicologico di un prigioniero politico costretto ad aspettare in piedi su uno sgabello, gli occhi bendati; nessuno può immaginare la sofferenza causata da un’attesa di quattro giorni prima di essere sottoposto alla stessa messa in scena.

Quattro giorni più tardi, lo avevano, di nuovo, svegliato e lo avevano, di nuovo, condotto nel cortile del blocco 2A. Di nuovo, il nodo scorsoio intorno al collo, veniva messo sullo sgabello della morte. Gli veniva letto il verdetto della sua esecuzione. Gli venivano chieste le sue ultime volontà. Gli togievano lo sgabello da sotto i piedi, ma la corda era troppo lunga e cadeva a terra; allora, le due persone che lo avevano interrogato e gli erano d’accanto scoppiavano a ridere e sentenziavano: “Questa volta, sei stato fortunato; la corda si è spezzata. Puoi tornare nella tua cella ora fino a quando decideremo di impiccarti.”

Sono sicuro che vi ricorderete dei ridicoli processi messi in scena, nel 2010, dopo le elezioni presidenziali, e delle false confessioni di alcuni personaggi noti e meno noti, che seguirono. Erano stati costretti a testimoniare contro se stessi e il Movimento Verde. Il modo in cui sono stati condotti questi processi è una lunga storia di cui ho intenzione di descrivere i dettagli: come preparano i prigionieri, per giorni, a ripetere quello che dovranno dire in tribunale oppure come li costringano a farsi crescere i baffi prima del processo.

Sono sicuro che vorreste sapere perché certi personaggi abbiano accettato di testimoniare contro se stessi e il Movimento Verde. Uno di questi personaggi di primo piano ha resistito alle pressioni di coloro che lo interrogavano per due mesi. Come ha, infine, ceduto?

Un giorno, si sono presentati dalla moglie e dalla figlia di questo personaggio e le hanno portate in prigione con il pretesto di far incontrare loro, rispettivamente, il proprio marito e il proprio padre. Hanno chiesto loro di restare in una stanza nell’attesa dell’arrivo del prigioniero.

La stanza aveva uno specchio trasparente. Il prigioniero era stato condotto dall’altro lato dello specchio. Gli avevano detto: “Come vedi, abbiamo portato tua moglie e tua figlia qui. Spetta a te decidere se vuoi parlare in tribunale o no.” Il prigioniero aveva continuato a rifiutare di confessare. Chi lo interrogava aveva, allora, chiamato il suo collega al telefono: “Haji, crede ancora che si scherzi.” Aveva riattaccato il telefono. La porta della stanza nella quale si trovavano sua moglie e sua figlia era aperta. Due prigionieri pericolosi e nerboruti, condannati per assassinio, erano, allora, entrati nella stanza. Chi lo interrogava gli si era parato davanti: “Vedi, fratello mio, quei due uomini accanto a tua moglie e a tua figlia; sono stati condannati a morte per assassinio. È da un pò che sono in prigione e non hanno contatto con una donna da molto tempo. Ti lascio un minuto per riflettere sulla tua risposta, vuoi o no andare in tribunale e sederti di fronte alle telecamere? Se la tua risposta è no, io dirò loro di iniziare là, proprio davanti a te.” Ed ecco come questo personaggio di primo piano è stato obbligato a testimoniare contro se stesso e gli altri.

Questi sono solo tre esempi di tortura psicologica subita dai prigionieri politici del blocco 2A e dei blocchi 209 e 240. Ed è solo quello che è accaduto a 19 dei 160 prigionieri politici detenuti nel blocco di Evin con i quali ho avuto il privilegio di conversare per ore.

Inutile dire che per comprendere la profondità della tragedia ed esporre, chiaramente, le gravi violazioni dei diritti umani, dovremmo prendere in considerazione tutto quello che centinaia di altri amici hanno subito prima e dopo la mia detenzione nel blocco 350 di Evin, senza dimenticare i detenuti in isolamento nei blocchi 209, 240 e 2A di Evin, nella prigione di Rajai Shahr o in altre prigioni iraniane.

In quanto giornalista, recentemente uscito di prigione, attesto, che, a dispetto di tutte queste torture e persecuzioni, a dispetto dell’isolamento della società e della disperazione, i prigionieri del Movimento Verde Democratico, nelle morse di una dittatura, continuano a resistere con dignità all’interno del blocco 350 della prigione di Evin. Aspetto la liberazione di tutti questi combattenti della libertà e sono sicuro che il giorno in cui saremo tutti liberi giungerà prima di quanto immaginiamo.

 
AID : AGENZIA IRAN DEMOCRATICO