lunedì 30 agosto 2010

Santanchè: per salvare Sakineh variamo una legge anti burqa


Nella foto Il sottosegretario Daniela Santanchè che ringrazio di cuore per la sua ferma posizione contro il fondamentalismo islamico e la sua vicinanza alla causa delle donne iraniane

il Giornale.it
di Manila Alfano

La donna iraniana sta per essere lapidata e il sottosegretario lancia la mobilitazione: "A Brescia come a Teheran, il problema è il velo, simbolo di tutte le sottomissioni. Ma dov'è lo sdegno dei nostri intellettuali di sinistra?"





«Sono indignata, è una vergogna. Una donna sta per essere lapidata e qui nessuno dice o fa niente. Ma che Paese è diventato il nostro? Dove sono tutti gli intellettuali, i fior fior di ben pensanti sempre pronti a scendere in campo?». Anche questa volta Daniela Santanchè, è in prima fila nella sua lotta contro la discriminazione verso le donne, «verso tutte le donne negate». «Sakineh deve essere salvata con il nostro aiuto, la nostra partecipazione, la nostra rabbia. Oltre a lei ci sono 25 donne che rischiano la lapidazione. I diritti delle donne sono i diritti umani, e fino a quando non lo avremo capito, delitti come questi continueranno ad accadere».

Daniela Santanchè guarda l’Iran e le viene in mente Brescia, Pordenone, Torino. Hiina, Sanaa, uccise dai genitori perché troppo occidentali; Hasna sfregiata dall’acido a 19 anni. «Ero l’unica al processo di Hiina a Brescia, sono stanca di fare battaglie per le donne da sola. Oggi voglio stanarli tutti, gli ipocriti, i buonisti a tutti i costi, quelli che tollerano la differenza, anche se questo significa chiudere gli occhi davanti alle discriminazioni nei confronti delle donne. Ma non solo, sono gli stessi che vogliono rendere l’Italia la pattumiera d’Europa, che criticano la politica del governo Sarkozy che ha rimandato a casa i rom dando loro aiuti economici e si sono alzati tutti in coro per gridare alla deportazione. Ma dove sono gli illuminati davanti alle torture che subiscono le donne musulmane nella civile Europa?».

Da Brescia all’Iran, che collegamento c’è?
«È la stessa origine, la mancanza di rispetto, la donna considerata un oggetto dell’uomo, che sia il padre o il marito. Comunque un padrone. Donne sole cui viene negato ogni diritto, anche quello di esistere. La lapidazione è figlia della cultura del burqa».

Cosa deve fare l’Italia?
«Insorgere. Raccogliere firme, stanare tutti quegli intellettuali che sono sempre pronti e scattanti a scendere in piazza quando si tratta di andare contro Berlusconi, che sono sempre pronti a indignarsi. Ma davanti a questi orrori tacciono. Dove sono ora gli intellettuali di Repubblica, perché non sento lo sdegno di Famiglia Cristiana?».

Già dove sono?
«Per questo sono indignata. Non si vede nessuno in piazza. Un silenzio che sa di meschina assoluzione. Eppure quegli stessi intellettuali si sono mostrati uniti e compatti nella difesa di Polanski, un uomo che violentò una minorenne. Per lui sono tutti andati in soccorso».

E chi si aspettava di vedere nelle piazze?
«Tutte quelle femministe dalle rivendicazioni sessuali, gli islamici moderati».

Esiste l’islam moderato?
«Io ci credo, voglio crederci. Ma in casi come questo voglio anche vederli sulle barricate a combattere insieme a noi per i difendere i diritti delle donne, la parità tra i sessi».

E lei cosa propone?
«Io insisto che la priorità in Italia è vietare il velo integrale. Una legge che finalmente metta fine a questa violenza, perché siamo noi che dobbiamo renderci responsabili e liberare queste donne. Perché tutto inizia dal velo. Da oggi sul mio sito e su Facebook si raccolgono le firme. Mi aspetto grande partecipazione».

Il presidente francese Nicolas Sarkozy l’ha definita una condanna "medievale".

«Ma certo, Sarkozy ha perfettamente ragione. Non oso immaginare una condanna più crudele e meschina: interrata in una buca, con il capo coperto e presa a sassate fino alla morte. Una fine atroce. Noi non possiamo permettere di far entrare nel terzo millennio culture del primo. Altrimenti significa che le nostre stesse battaglie sono state vane. Un insulto per chi come me in questa lotta ha sempre creduto e continua a credere».

 
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