sabato 14 febbraio 2009

UN'ALTRA PROVA DELL'INTERFERENZA TERRORISTICA DEI MULLAH IN MEDIORIENTE

Fonte: il Foglio.it

14 febbraio 2009

Teheran apre al dialogo, ma non ferma le navi misteriose
Le rotte africane verso Gaza, un mercantile ignoto alla fonda a Cipro, la caccia di israeliani e americani
Un mercantile partito dall’Iran scivola nel Canale di Suez con un carico di armi senza proprietario. Sulla sua scia si mettono le navi della marina americana e gli 007 d’Israele: lo seguono, ma non lo possono fermare. E’ partito da Bandar Abbas, il porto iraniano dei pasdaran, ha superato le acque dell’Egitto ed è entrato nel Mediterraneo. Ora, un mese dopo, si trova a Limassol, Cipro, sotto la custodia dell’esercito greco. La stiva cela l’ultimo intrigo del medio oriente, il tesoro di una caccia che coinvolge militari e servizi segreti di tre continenti. La sua sagoma è comparsa sui radar della marina israeliana nei giorni di Piombo fuso, l’operazione militare che ha distrutto le infrastrutture di Hamas a Gaza City. L’identità reale rimane un mistero, così come la nazionalità. Alla partenza si chiama Iran Hedayat, poi diventa Famagustus e appartiene alla flotta panamense, di fronte a Gaza il capitano dichiara invece che il vascello si chiama Monchegorsk, appartiene a una compagnia di Mosca ma batte bandiera cipriota. Monchegorsk è il nome di una città russa affacciata sul mare di Barents.

Il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad ha detto che il paese è pronto al dialogo, “se c’è rispetto reciproco”, con gli Stati Uniti. Ma, a dispetto delle aperture diplomatiche, i pezzi del piano iraniano di egemonia sul medio oriente si muovono ancora. Secondo l’intelligence militare di Israele, il mercantile alla fonda a Cipro trasportava armi per rifornire i magazzini sotterranei dei guerriglieri rimasti nella Striscia: sessanta tonnellate di missili Grad e Fajr, lanciarazzi, esplosivo per fabbricare i razzi Qassam, mine, fucili, pistole e munizioni. Un rifornimento partito in ritardo, perché ormai la flotta israeliana controlla i porti della regione e impedisce l’attracco ai convogli sospetti. Anche la marina americana segue negli stessi giorni i movimenti del vascello. L’Uss San Antonio è pronta a intervenire. E’ una nave della Quinta flotta e fa parte della Combined task force 151, il contingente internazionale arrivato nel Golfo di Aden per fermare i pirati somali.

Ha ricevuto questo ordine speciale dal Pentagono dopo un incontro fra l’ex segretario di stato americano, Condoleezza Rice, e il ministro degli Esteri di Gerusalemme, Tzipi Livni. A bordo della San Antonio ci sono elicotteri, mezzi anfibi e squadre speciali pronte all’abbordaggio. Nonostante i sospetti, americani e israeliani non fanno partire un colpo. “E’ normale che gli Stati Uniti cerchino di rimanere fuori dall’operazione – dice Rayon Tanter, presidente dell’Iran policy committee di Washington – solitamente queste operazioni avvengono sotto copertura”, perché il codice marittimo non permette di fermare una nave che batte bandiera di uno stato sovrano. Il Foglio racconta la storia il 22 gennaio; il giorno seguente, l’ambasciata iraniana di Roma chiede di rettificare. Oggi il Monchegorsk è fermo da una settimana nel porto di Limassol, guardato dai militari greci e dalle autorità cipriote. Dopo le prime verifiche, le autorità dell’isola hanno chiesto l’intervento delle Nazioni Unite. Nessuno, in via ufficiale, ha ancora detto con chiarezza che cosa nascondono le stive del mercantile partito dall’Iran.

Per il Comitato sanzioni del Consiglio di sicurezza dell’Onu, il carico del vascello viola la Risoluzione 1747, che proibisce alla Repubblica islamica di esportare armi. Il presidente cipriota, Demetris Christofias, esclude che il Monchegorsk possa tornare in Iran. “Prenderemo una decisione definitiva nei prossimi giorni, dopo aver completato tutte le ispezioni”, dice all’agenzia di stampa Reuters. “Tocca al governo di Cipro decidere che fine farà il carico del mercantile”, spiega un diplomatico americano. Se il Monchegorsk tornerà in mare, la marina di Israele potrebbe intervenire, ma sfiorerebbe lo scontro armato diretto con l’Iran.
Nel Golfo di Aden, la striscia d’acqua che separa l’Africa dalla Penisola araba, c’è un altro problema. Da poche settimane due navi della flotta iraniana hanno raggiunto la regione per combattere i pirati somali. Fanno porto nella città di Aseb, in Eritrea. Per lo Shin Bet, avrebbero un ruolo anche nella storia del Monchegorsk.

Le armi trasportate dalle navi iraniane arrivano a Gaza attraverso due rotte, entrambe africane. La prima passa per la Somalia e il Sudan: i contrabbandieri prendono in consegna i carichi delle navi iraniane e le trasportano nel Sinai, dove sono smistate attraverso i tunnel che collegano Gaza a Rafah, in territorio egiziano. Questi tunnel sono stati colpiti duramente nei giorni di Piombo fuso, ma il venti per cento sarebbe ancora in funzione. La seconda rotta attraversa le acque egiziane e raggiunge il Sinai a pochi chilometri da Gaza. I mercantili lavorano nel cuore della notte, quando la marina israeliana ha il divieto di intervenire, come dice un accordo firmato con il Cairo. Il Monchegorsk non è il primo cargo misterioso seguito dai satelliti israeliani. Nei giorni scorsi, la marina di Gerusalemme ha fermato una nave libanese salpata da Tripoli e diretta a Gaza. La nave ha come nome Tali: anche il capitano di questo vascello ha fatto tappa a Cipro. Lo scorso anno, la marina greca ha bloccato il Susanna, un mercantile partito dalla Slovenia che portava armi e missili a Bandar Abbass. Pochi mesi fa, poi, i turchi hanno intercettato un carico di missili diretti in Venezuela. Sui container c’era scritto soltanto “motori per camion”.

Nei giorni scorsi, durante un vertice con gli Stati Uniti e con gli alleati europei andato in scena a Copenhagen, i diplomatici israeliani hanno chiesto di trovare una soluzione al traffico di armi in medio oriente e di permettere alle sue navi di fermare e ispezionare i mercantili sospetti. Alla fine di gennaio, il governo di Ehud Olmert ha ottenuto dalla Casa Bianca collaborazione sul piano contro il contrabbando di armi verso la Striscia di Gaza. Gli Stati Uniti forniranno tecnologia e addestramento al personale impiegato lungo i valichi. Un team di genieri americani è già a Rafah, il centro egiziano del contrabbando. Il Cairo non vede positivamente la presenza di militari stranieri sul proprio territorio e il ministro degli Esteri, Ahmed Aboul Gheit, ha fatto sapere ieri che nessuna nave militare potrà entrare nelle acque territoriali egiziane. Il paese, però, accetterà aiuti economici per fermare il contrabbando di armi. Ma gli ayatollah vogliono aumentare la propria influenza sul medio oriente e investono milioni di dollari per ricostruire, a modo loro, il Libano e la Striscia di Gaza.

 
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