martedì 5 agosto 2008

Il Messaggero.it: La Rajavi e la strategia della Resistenza Iraniana


Il presidente Maryam Rajavi insieme al presidente Gianfranco Fini, On. Carlo Ciccioli e Mohaddessin, ministro degli esteri del Consiglio Nazionale della Reisistenza Iraniana


Saturday, 02 August 2008
di Sergio Talam

Il Messaggero del 25 luglio, Due occhi luminosi che non parlano di guerra, né di dolore, né del rischio di morire in ogni momento. La mente corre alla nobiltà antica della Persia. ma il fatto è che Marvain Rajavi stringe nelle mani un tesoro. E la convinzione di non essere mai sola. Lontana dalla sua terra, il martoriato Iran dove l’uomo è schiavo nel nome di dio, la leader del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana (un vero parlamento in esilio che opera a Parigi) marcia per il mondo insieme ad un popolo che l’aspetta e spera in lei.

Ed è un popolo lanciato verso il futuro, pieno di giovani - l’età media è 26 anni - e di tante donne perseguitate per il solo fatto di essere donne: se sciolgono i capelli, se cantano o se ballano. se camminano da sole. "L’Iran demonizza l’eros perché non lo conosce", dice la scrittrice iraniana Azar Nafisi.

La Maryam, leggiadra e guerriera, racconta come fosse per domani dell’Iran in cui le donne saranno libere come l’acqua che rompe la montagna; racconta di un parlamento in esilio composto più di donne che di uomini.

Mentre Maryam Rajavi ringrazia Roma e il parlamento italiano che si è schierato con lei, viene naturale pensare che il dominio dei pochi, da sempre, passa per la segregazione della donna. Ogni dittatura reprime il pensiero libero, ma solo la teocrazia, "il regime fascista islamico" come lo chiama Maryam, organizza la sistematica repressione di un genere umano: immobilizza la donna per rendere gli uomini più poveri, più tristi, buoni solo come soldati di una mitologia religiosa; la reclude in un cantuccio perché ha paura di lei, "come un uomo impotente tiene in catene la sua bella moglie" (Azar Natisi).

"Come mai porta il velo, signora Rajavi?", le chiedo incuriosito da quel drappo così controverso che le incornicia il viso. "Perché sono una donna musulmana e credo che ogni donna debba vestirsi come desidera: l’imposizione di vestirsi in una certa maniera e' contro l’Islam".

Due parole, due concetti sferzanti come la sabbia nel vento: la voglia quasi rabbiosa di restare fino in fondo musulmana, la pretesa veemente di declinare l’Islam come libertà e rispetto dei diritti umani. La guardo e penso alla sua storia di ragazza della borghesia di Teheran che si laurea in ingegneria e lotta prima contro lo Scià, che le uccide una sorella, poi contro l’Ayatollah, che le uccide un’altra sorella, incinta, dopo averla torturata. E la storia di una rivoluzione fallita, il simbolo di un’illusione, quella di uscire dal dominio del monarca amico degli Usa per entrare in una nuova era: i giovani che sognavano la democrazia sbatterono il muso contro il potere religioso e otto anni di guerra con l’Iraq. "Signora, la società iraniana ha la forza per credere ad una nuova rivoluzione?". Ancora quello sguardo sicuro, radioso, aperto sul futuro: "E’ lo stesso regime a dire che il 90 per cento del popolo è contro i mullah".

Maryam Rajavi sente che il clima sta cambiando. Dopo il Regno Unito, che ha aperto gli argini, anche Francia, Belgio e Italia stanno decidendo di togliere i Mujahedin del Popolo Iraniano (Mpoi) dalla lista delle organizzazioni terroristiche. Tenere la resistenza iraniana dentro quel recinto di infamia era la conseguenza di una convenienza e di un calcolo sbagliato: la convenienza di non inimicarsi una potenza del Medio Oriente ("la posizione di Parigi puzza di petrolio", ha detto un deputato francese) e il calcolo di piegare l’Iran del nucleare e dei missili puntati su Israele con le sanzioni e le minacce di guerra.

”La formula ‘o il dialogo o la guerra’ è solo un inganno", dice Maryam Rajavi, ed è l’unico caso in cui la voce lesi alza appena. "C’è una terza via fattibile: il cambiamento democratico della società iraniana per mano del popolo e della resistenza".

La piccola donna dal viso dolce che porta il peso delle torture, delle mutilazioni, dei 120mila morti perché accusati di dissenso, pare davvero felice di incontrare il mondo occidentale, proprio quello che i giorni pari minaccia Teheran e quelli dispari lo blandisce con onori politici e diplomatici.

Maryam non sembra darsi pena per le debolezze, le ipocrisie, le incertezze di una comunità di paesi che tratta Ahmadinejad con la stessa leggerezza con cui le democrazie europee trattarono Hitler: "La minaccia del regime iraniano non riguarda solo noi ma tutto il mondo".

E quel tipo che comanda a Teheran, quel giovanotto che inchioda il resto del pianeta con la sua barbetta e l’aria innocua da laureato con lode, non lo chiama mai "presidente dell’Iran" ma solo "presidente dei mullah". Per lei, per Maryam leggiadra e guerriera il vero Iran è un sogno che deve ancora venire.

 
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